Ho avuto la fortuna di conoscere Gianni Berengo Gardin, il più grande fotografo italiano di sempre, e uno dei più grandi del mondo, qualche anno fa nella sua casa in centro a Milano. Tra un Lucie Award e un Oskar Barnack Award (che grossomodo corrispondono all’Oscar e al Nobel in campo fotografico…) appoggiati distrattamente in un angolo, abbiamo amabilmente chiacchierato del suo approccio alla fotografia, di come abbia sempre cercato di immedesimarsi nelle situazioni, per poterle raccontare attraverso le sue straordinarie immagini. Come quando visse insieme agli ospiti di un campo nomadi a Firenze, come quando partecipò alla vita di una comunità di handicappati, come quando prese un paio di botte dai celerini durante una manifestazione (l’immagine del poliziotto che lo stava colpendo non se la lasciò sfuggire). Abbiamo anche parlato di tecnica, della sua avversione per il digitale (che nemmeno la Leica MM pare sia riuscita a vincere), ma quello che è emerso maggiormente nel nostro incontro, e che ne definisce i tratti, è stata la grande umanità, la semplicità, la modestia nel definire semplici e fortunate le occasioni fotografiche che ha saputo cogliere, e che sono rappresentate in decine e decine di libri, di mostre, di retrospettive.
Ecco, spesso a chi mi chiede “quale macchina fotografica mi consigli?” ho voglia di rispondere “Prima sfogli un libro di Berengo, poi ne parliamo…”
Tanti auguri Maestro